Convegno ”Lugano e il Movimento federalista europeo 1943-1945”. Consolato Generale di Lugano, 13 marzo 2024 ore 18.00.

Convegno “Lugano e il Movimento federalista europeo 1943 – 1945”

(Lugano 13 marzo 2024)

Indirizzo di saluto

Il Centro di ricerca sulle politiche europee dell’Università di Brescia (creaf.eu), centro interuniversitario con sede a Brescia, che qui rappresento, ha aderito volentieri al progetto del Convegno per il quale oggi ci troviamo riuniti.

In modo del tutto convincente il nostro incontro guarda al Movimento federalista europeo radicandolo negli ultimi due anni del secondo conflitto mondiale, anni durissimi di guerra, anni di resa finale dei conti, anni però pieni di un’energia rivolta a ricostruire materialmente e spiritualmente il territorio europeo. Quell’energia fu orientata anche a porre le premesse di quello che sarebbe stato il disegno della nuova Europa, destinata ad essere costruita sulle ceneri dei modelli di stato e di nazione messi in campo nella prima metà del secolo e in modo cruento come mai prima di allora usciti sconfitti dalla storia.

In realtà proprio il biennio a cui guarda il nostro incontro, ebbero un’importanza rilevantissima, perché consentì, allora, agli esuli politici antifascisti di maturare una solida esperienza comune capace di cementare relazioni e di favorire negli anni successivi la formazione di un metodo di confronto politico fruttuoso come non era mai stato in precedenza.

Del resto, se guardiamo all’impegno della classe politica italiana nell’ultimo quinquennio degli anni Quaranta, troviamo diffuso un forte consenso per il progetto di formazione degli “Stati Uniti d’Europa” che in quel periodo sembrò possedere chance positive di riuscita.

Un progetto – va detto – che in taluni gruppi politici (mi riferisco, ad esempio, alla sinistra democristiana di Giuseppe Dossetti – si leggano, a mo’ di esempio, gli interventi di allora di Achille Ardigò, di Francesco Maria Dominedò, di Paolo Vittorelli) appariva anche dotato di una carica capace di renderlo un argine efficace alla nascita del Patto Atlantico, notoriamente avversato da quella parte politica.

Quel progetto, in ogni caso, non sarebbe potuto nascere senza che quegli anni e quel contesto (quello che oggi viene investigato) facessero consolidare tra gli esuli un’esperienza assai fruttuosa di contrapposizione al fascismo e di condivisione di alcuni ideali destinati poi a divenire punti fermi del disegno costituzionale dell’Italia repubblicana.

Furono, quelli, anni nei quali si mise a fuoco la centralità, per la costruzione di una nuova Europa democratica, del binomio libertà e pluralità.

Vi fu piena consapevolezza, allora, del vincolo che legava in modo inscindibile l’affermazione di una piena libertà civile e politica alla realizzazione di un disegno pluralistico tanto della società che delle istituzioni, un disegno che avrebbe permesso di costruire un’Europa nella quale i confini tra i diversi ordini normativi non fossero assoluti e rigidi, bensì mobili con l’impiego di un sistema che potremmo definire “a geometria variabile”, riconoscendo come dato ineliminabile della persona la natura plurale della sua identità multi livello.

Oggi come allora solo una simile elasticità, vorrei perciò dire a conclusione di questo mio intervento di saluto, appare essere l’elemento dinamico in grado di consentire quei progressi nell’integrazione europea che resta un’ambizione del tutto diffusa nel tessuto sociale dei popoli che ne hanno fino a qui fatto la storia.

Buon lavoro, dunque, e ancora grazie a tutti coloro che, con il loro fattivo contributo, hanno reso possibile realizzare questo nostro prezioso appuntamento.

Alberto Sciumè

(Direttore del Centro di ricerca sulle politiche europee – creaf.eu)


Convegno sul Federalismo

(Lugano, 13 marzo 2024)

               La Fondazione Spadolini ha subito aderito a questo progetto dell’Associazione Cattaneo. L’affinità fra i due mondi è evidente. Non è la prima volta che ci associamo in iniziative culturali, in passato il Presidente Giancarlo Dillena ha contribuito ai lavori della Spadolini.

               Il tema del federalismo sta uscendo dai circoli accademici e ritrovando la via della politica. In seno all’Unione europea, la parola “federazione” e l’aggettivo “federale” sono banditi dal linguaggio ufficiale: da quando un progetto di federazione europea non passò l’esame di alcuni stati membri. Eppure un concetto simile era già nella Dichiarazione Schuman del 1950, quella che diede il via al processo d’integrazione europea. Stati Uniti d’Europa era la prospettiva che Schuman, con Jean Monnet, l’autore materiale della Dichiarazione, perseguiva come esito finale dell’integrazione del Continente.

 Altra epoca, altra temperie, commenterebbero gli euroscettici. Quelli che neppure ora riconoscono il pregio della costruzione europea, per il suo significato nei rapporti fra gli stati membri e con i paesi terzi.

Esemplare è il caso della Svizzera, il modello confederale di riferimento, unita all’Unione da una rete di accordi che solo una certa negligenza negoziale tarda ad inserire in un sistema organico.

               La Svizzera è un caso di scuola per quanti si avvicinano al modello federale. Per gli Italiani è un precedente illustre e benevolo. La Repubblica del Ticino ha accolto negli anni i fuoriusciti di tutte le matrici e di tutte le stagioni, massimamente durante il periodo fascista. Alcuni padri d’Europa si sono formati sul Lago Ceresio. Per non parlare di Carlo Cattaneo, il capostipite di una generazione di intellettuali e di politici che, valendosi della lingua comune, hanno trovato qui il terreno di elezione per i loro studi.

Il dato rilevante della cooperazione italo-svizzera è il rispetto delle libertà. Di pensiero e di azione. Sentiamo un moto di gratitudine nei confronti dei Ticinesi e degli Svizzeri in generale. Sentiamo l’esigenza che i rapporti così proficui sul piano intellettuale trovino il corrispettivo su tutti i piani.

               Abbiamo ancora da imparare. Questo Convegno ci insegnerà. Ora che l’Unione si avvia alle elezioni europee, attendiamo dal nuovo Parlamento di Strasburgo una scossa nel senso della maggiore integrazione. Ricordiamo alcune formule. Quella dello scomparso Jacques Delors, dichiarato Cittadino d’Europa per la sua lungimiranza: federazione di stati-nazione. Un ossimoro per dare conto dell’intreccio di diversità e unità. Quella di Mario Draghi: l’Europa-Stato.

               Questa è la via da seguire. Una più stretta integrazione europea garantisce l’intero Continente dalle spinte alla disgregazione e si pone a difesa dalle minacce esterne. Che sono molteplici e altamente pericolose.

               Buon lavoro e un abbraccio affettuoso a Gabriele Meucci che ci ospita, a Giancarlo Dillena che presiede, a Marino Viganò che orchestra, nonché a tutti e tutte che contribuiscono con il loro impegno.

Cosimo Risi

Fondazione Spadolini, Firenze